Il 2019 conferma i dati negativi per il settore delle costruzioni, a livello nazionale come a quello locale.
Del resto c’era da aspettarselo: tra cantieri pronti a partire ma che non partono mai (come il nodo ferroviario e scolmatore del Bisagno); lavori già decisi ma che poi sembrano essere stati oggetto di ripensamenti (come la Gronda autostradale); riduzione degli stanziamenti, a livello nazionale, sul delicato ed importantissimo tema del dissesto idrogeologico (particolarmente sentito in Liguria), della edilizia scolastica e sanitaria, le conseguenze non potevano che essere negative.
Conseguenze ulteriormente aggravate – come denunciano i presidenti delle Associazioni delle imprese edili Filippo Delle Piane (ANCE Genova), Vito Mangano (Confartigianato costruzioni Genova) e Pasquale Meringolo (CNA Costruzioni Genova), insieme ai segretari generali provinciali e regionali delle Organizzazioni sindacali dei lavoratori, Andrea Tafaria (Filca CISL), Federico Pezzoli (Fillea CGIL) e Mirko Trapasso (Feneal UIL) – dall’aumento incontrollato del “dumping contrattuale” da parte di imprese che pur operando in edilizia non applicano la contrattazione collettiva del settore, facendo concorrenza sleale alle imprese rispettose degli obblighi della normativa di settore.
I dati provenienti dalle Casse Edili della Liguria relativi agli ultimi dieci anni sono un vero e proprio bollettino di guerra e confermano un quadro tragico, con una perdita di quasi 9.000 operai rispetto ai 26.000 circa iscritti nel 2009 (-34%) e di oltre 2.000 imprese iscritte rispetto alle 5.600 del 2009 (-35%). E con una riduzione della massa salari di oltre 60 ml./Euro annui rispetto ai 250 ml/Euro del 2009 (-25%).
Solo a Genova, poi, nello stesso periodo, si è registrato un calo di quasi 3.000 operai su 11.500 circa (-26%), di 730 imprese su 2.300 circa (-30%) e di oltre 16ml/Euro annui su 112 ml/Euro (- 15%).
Anche nel 2019, non ancora concluso, gli indicatori sono tutti negativi, se si considera che il comparto ha visto, rispetto al 2018, a Genova la cessazione dell’attività di ulteriori 60 imprese iscritte alla Cassa Edile Genovese, la riduzione del numero di operai iscritti di ulteriori 82 unità e la conseguente ulteriore flessione della massa salari.
Sono numeri che si commentano da soli e che spiegano più di ogni altro discorso la situazione drammatica del settore. E che sono in linea con i dati macroeconomici nazionali divulgati dall’Ance, da Confartigianato e Cna Costruzioni, che confermano anche per l’anno in corso la persistenza della avversa congiuntura oltre modo negativa del comparto, che ha perso, a livello nazionale, negli ultimi dieci anni, circa 600 mila posti di lavoro (per rendere l’idea, come se avessero chiuso 40 grandi imprese come la ex ILVA). Anzi, secondo i dati elaborati dalle Organizzazioni Sindacali il dato sarebbe sottostimato: i posti di lavoro persi sarebbero addirittura 800.000.
Eppure, nonostante ciò, in termini di investimenti, il settore edile continua ad offrire, un contributo rilevante, rappresentando l’8% del PIL italiano. Per tali motivi e considerata la sua lunga e complessa filiera (che collega le costruzioni ad oltre il 90% dei settori economici), anche una moderata ripresa del settore edile permetterebbe al Paese di recuperare almeno mezzo punto percentuale di PIL all’anno e di tornare in breve tempo ad una crescita coerente con quella degli altri Paesi UE.
Non c’è più tempo da perdere, se si vuole fermare la gravissima recessione del settore anche nella nostra provincia e consentire allo stesso di ripartire e di assumere nuovamente il suo ruolo di traino dell’economia: immediato sblocco dei cantieri già finanziati (nodo ferroviario, scolmatore del Bisagno); rapide decisioni sulla realizzazione di infrastrutture imprescindibili quali la Gronda; adozione delle necessarie iniziative per cantierare a breve anche le ulteriori tratte della Metropolitana; aumento delle risorse destinate alla edilizia sanitaria e scolastica, alla lotta al dissesto idrogeologico e alla rigenerazione urbana; rapido avvio delle importanti opere portuali.
Ma nel contempo, oltre alla creazione di nuove occasioni di lavoro, occorre anche una rigorosa applicazione, da parte delle stazioni appaltanti, della normativa che impone l’adozione del contratto collettivo nazionale e provinciale di lavoro del settore edile da parte delle imprese che realizzano opere edili; intensificare la lotta al “dumping contrattuale” delle imprese che si sottraggono a tale obbligo per ragioni di convenienza economica, a danno dei diritti, della sicurezza e della formazione professionale delle maestranze occupate; l’adozione di rigorosi criteri di valutazione qualitativa delle imprese diversi dal prezzo più basso.