Con la riconsegna del Ponte “Genova San Giorgio” si chiude uno dei periodi più difficili per la città e per la Liguria. A partire dal toccante ricordo delle 43 vittime, alle quali è doveroso rendere giustizia al più presto portando a termine l’inchiesta per accertare ciò che è accaduto e chi ne è responsabile. Non doveva succedere, e soprattutto non dovrà succedere mai più. Nonostante la decisione di essere celeri nella ricostruzione del viadotto, ci teniamo a sottolineare che non è stata la politica a ricostruire il ponte, ma sono state le eccellenze italiane. A partire da un figlio di questa città, Renzo Piano, il cui commosso e commovente discorso rimarrà a lungo impresso nella memoria dei genovesi e degli italiani, fino ad arrivare alle decine di imprese coinvolte e ai circa 1200 lavoratori che hanno reso con il proprio ingegno, impegno e sudore, possibile questo record. Lavoratori che hanno dimostrato che se giustamente coinvolti, e soprattutto posti nelle migliori condizioni di sicurezza e formazione, possono essere il valore aggiunto in qualsiasi progetto, dimostrando il loro attaccamento all’opera in qualsiasi condizione atmosferica e anche durante l’emergenza pandemia. Un Paese, L’Italia, che ha dimostrato di saper eccellere grazie al lavoro, anche se ancora una volta ha dovuto toccare il fondo prima di reagire, facendo pagare ai propri figli colpe non loro. Ci si augura che almeno questa lezione serva a capire che non ci si può più permettere incuria, malaffare e pressappochismo nella gestione del bene pubblico. E non basta dare la colpa a chi il bene doveva gestirlo, se coloro che avevano il compito di controllare sono stati i primi a non adempiere al proprio dovere. Troppo grave quanto accaduto, una struttura come un ponte, che nasce per unire, non può crollare e tradire la propria essenza. L’impatto sulla percezione di fiducia nello Stato è stato enorme, qualcosa di impossibile da dimenticare. Eppure, mentre con le unghie e coi i denti, si tentava di portare a casa il risultato, poco prima che il ponte si rivelasse al mondo con il suo sogno di rinascita, mentre tutto il Paese cercava di ripartire dopo il lockdown, la Liguria si trovava a vivere l’incubo della morsa del traffico. E questo a causa di infrastrutture precarie e vetuste e di menti assopite che hanno lasciato agonizzare il territorio. È stato così che, per diverse settimane, la ripresa della mobilità delle persone e delle merci nelle autostrade liguri è stata ostacolata da una serie di lavori che si sono concentrati sotto il sole di un’estate caldissima. Per quasi tutta l’estensione della rete autostradale della Liguria cittadini, lavoratori e turisti hanno viaggiato su una sola carreggiata a doppio senso, con il rischio che si materializzassero, da un momento all’altro, gravissimi incidenti. Caselli chiusi, carreggiate ristrette e a due sensi di marcia, hanno seminato il panico sul nostro territorio che ha subito la paralisi. Ed è così che la Liguria è stata costretta a guardarsi allo specchio, a vedere tutte le grinze che il passare del tempo ha lasciato. Oggi la necessità di intervenire sulla nostra pelle, ossia sulla manutenzione della nostra rete, sta evidenziando tutte le contraddizioni dei vecchi e dei nuovi governi, con i gravissimi ritardi infrastrutturali dovuti ad errori di programmazione a tutti i livelli. Abbiamo toccato con mano che non esiste una seria politica dei trasporti regionale che dia adeguato impulso a un cambio di rotta, al trasporto pubblico e, in generale, alla mobilità sostenibile. Traffico e code hanno costretto migliaia di persone a vivere nel disagio quotidiano e nella paura di non riuscire ad andare al lavoro o di raggiungere le persone care o gli ospedali di riferimento. Non esiste un piano regionale di emergenza e i grandi assenti sono gli incentivi al servizio pubblico per evitare il ricorso alle auto private. I terribili ritardi degli investimenti su terzo valico, gronda, Pontremolese, raddoppio della tratta tra Finale Ligure e Andora, sui collegamenti ferroviari del porto di Vado Ligure, aggiungendo le vicende giudiziarie dei costruttori impegnati nel nodo ferroviario di Genova, depotenziato rispetto al progetto iniziale, ci hanno consegnato l’immagine di una regione sprovvista di alternative. Anche il trasporto merci su rotaia per i porti di Genova e Savona sono qualcosa di disarmante. A mancare in tutti questi anni sono stati investimenti pubblici, formazione, onestà, correttezza e la voglia di impegnarsi a mettere la Liguria in sicurezza. Eppure, quante volte abbiamo sentito dire che la Liguria è la porta d’Europa? Oppure che rappresenta l’accesso al Mediterraneo del Nord Ovest italiano? Tante, anzi, troppe volte! A queste considerazioni non è seguita una valorizzazione del territorio dal punto di vista delle infrastrutture strategiche che potessero valorizzarlo nei traffici, nelle opere di ingegno, nel commercio e, più in generale, nell’economia. Non basta avere i porti, bisogna creare un contesto, come non basta avere un aeroporto per essere competitivi. Per questo, cioè per rifondarci, sentiamo l’esigenza di riunirci intorno a un tavolo con chi ha deciso di candidarsi al governo della Liguria: da loro vogliamo avere risposte e non promesse. Lo faremo nel mese di settembre insieme ai nostri segretari nazionali Claudio Tarlazzi della Uiltrasporti e Vito Panzarella della Feneal Uil, alla presenza dei nostri consigli regionali riuniti e al nuovo segretario generale della Uil Pier Paolo Bombardieri.
Mario Ghini, segretario generale Uil Liguria
Roberto Gulli, segretario generale Uiltrasporti Liguria
Mirko Trapasso, segretario generale Feneal Uil Liguria